Descalzi (Eni) e il nuovo ordine energetico mondiale: perché serve un tetto al gas- Corriere.it

2022-06-25 07:34:44 By : Ms. Winnie zheng

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L’amministratore delegato a New York: le tensioni sui prezzi saranno molto pesanti, faranno male a famiglie e aziende se non passerà la proposta di Draghi

Si sta costruendo sotto i nostri occhi «il nuovo ordine energetico mondiale ». Secondo Foreign Affairs , la più autorevole rivista di geopolitica americana, in questo ordine avrà molto più peso il tema della sicurezza , a fianco all’obiettivo della sostenibilità. Vedremo un ritorno in forze del ruolo dello Stato nel settore dell’energia, in una misura «sconosciuta in tempi recenti», l’interventismo pubblico su vasta scala ci riporterà agli anni Settanta.

L’Europa, «con la guerra in Ucraina ha subito il suo 11 settembre» , e sarà un laboratorio di questo nuovo esperimento. «Ridurre le emissioni carboniche resterà un obiettivo prioritario – sostengono gli studiosi Meghan O’Sullivan di Harvard e Jason Bordoff della Columbia University – ma la sicurezza degli approvvigionamenti avrà altrettanta importanza». Questo significa una rivincita del pragmatismo : il passaggio alle fonti rinnovabili non può che essere graduale, il loro uso (crescente) avrà bisogno di essere accompagnato a lungo da carburanti fossili, gas naturale in testa.

Per il Wall Street Journal la guerra è solo l’ultimo shock, un brusco richiamo alla realtà, ma questa crisi energetica era cominciata prima: almeno dall’estate scorsa. Il quotidiano economico vede un mondo che si riorganizza attorno a tre blocchi: «Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali che usano il loro potere d’acquisto come un’arma politica; la Cina e altre nazioni emergenti come India Turchia e Vietnam che continuano i loro affari con la Russia; l’Arabia Saudita e gli altri produttori del Medio Oriente che restano neutrali e cercano di guadagnare quote di mercato».

È la «fine del libero mercato dell’energia» , questo settore vitale per tutto il resto dell’economia sarà segnato in profondità dalle barriere geopolitiche. In questo contesto s’inserisce il viaggio negli Stati Uniti dell’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi . I messaggi che lancia non sono rassicuranti sul breve termine. Il prossimo inverno «non sarà semplice per l’Italia», le tensioni sui prezzi saranno «molto pesanti, faranno male alle famiglie e all’industria», se non passa a Bruxelles la proposta Draghi di un tetto al prezzo del gas . Purtroppo le opposizioni a quell’idea restano forti, perché altri soggetti europei ricavano dei guadagni da un sistema dei prezzi «pieno di distorsioni».

Nel medio periodo la prospettiva migliora, l’obiettivo del ministro Cingolani di sostituire tutto il gas russo in due anni è mezzo «è realistico» . Ci aiuta il fatto che l’Eni possiede riserve di gas in molti paesi tra cui Egitto Libia Algeria Ghana Congo Indonesia. Non deve quindi andare a comprare gas altrui, deve negoziare i permessi per trasportarlo verso l’Italia. Spingendo lo sguardo ancora più avanti, il chief executive dell’Eni intravvede un futuro migliore non solo per l’Italia o per l’Occidente ma potenzialmente per l’umanità intera . La ragione della sua visita negli Stati Uniti infatti è un sopralluogo presso un impianto pilota della fusione nucleare: il Commonwealth Fusion System (Cfs), un progetto nato dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) con l’appoggio del governo federale Usa, e di cui l’Eni è il maggiore azionista privato. Il prototipo sarà operativo nel 2025, l’impianto industriale seguirà nel 2030, e a partire da quell’anno Descalzi si aspetta che la fusione nucleare possa conoscere una diffusione importante . Almeno cominciando da Stati Uniti e Regno Unito, i due paesi all’avanguardia su questo terreno. Il Congresso di Washington ci crede e vuole destinare fondi importanti alla fusione». La fusione «è il contrario della fissione», sottolinea, ricordando che questa nuova tecnologia «non genera radioattività, non produce scorie ».

Ha costi bassi, usa come materia prima l’acqua “pesante”, cioè non distillata : anche quella di mare. E la consuma in piccole quantità, «da una bottiglia può generare 250 megawatt in un anno». L’investimento iniziale non è enorme, un miliardo per il prototipo, e se si dovesse andare verso tante repliche i costi scenderebbero ancora. La fusione nucleare o l’atomo pulito, è un sogno che la scienza insegue fin dagli anni Cinquanta . L’amministratore dell’Eni pensa che stavolta le probabilità di successo siano incoraggianti, sente una svolta vicina . Considera enormi i benefici per l’ordine globale: «Il mondo non sarebbe più diviso tra chi ha e chi non ha accesso a risorse rare, che siano il petrolio o il gas o i minerali per le batterie dell’auto elettrica. L’acqua pesante ce l’hanno tutti. Le centrali sarebbero piccole. L’elettrificazione lowcost diventerebbe accessibile perfino alle zone più povere dell’Africa, dove per centinaia di milioni di persone la corrente è ancora un lusso . Avremmo centrali piccole, diffuse, alla portata di chi finora è dipendente dalle materie prime altrui».

L’orizzonte 2030 può sembrarci lontanissimo mentre siamo alle prese con la tragedia ucraina ora per ora, «ma se non vogliamo restare al gelo nell’inverno del 2030 è oggi che dobbiamo cominciare a prepararci». Se gli Stati Uniti e il Regno Unito cominceranno a costruire centrali a fusione nucleare, cadrà la resistenza degli italiani, dei tedeschi, dei giapponesi? Descalzi è convinto che «se la fusione mantiene le promesse, se funziona, tutti i paesi vorranno averla, i costi bassi insieme all’assenza di radioattività saranno un argomento irresistibile».

Quel cambio di paradigma che sottolineano le inchieste del Wall Street Journal e di Foreign Affairs, il chief executive della multinazionale italiana lo ha notato nell’atteggiamento dei suoi azionisti Usa. Ancora all’inizio del 2021 volevano parlare solo di sostenibilità e rinnovabili. Già nell’estate scorsa – quando ebbe inizio lo shock energetico, mesi prima dell’aggressione russa all’Ucraina – di colpo tutti hanno cominciato a preoccuparsi per la scarsità dell’offerta di energie fossili. Il Covid si stava ritirando, la ripresa mondiale andava forte (con il traino della Cina, allora), e il re era nudo: gli scenari di una transizione iper-veloce al tutto-rinnovabili erano chiaramente illusori, tant’è che Cina, India e altri tornavano ad attingere perfino al carbone pur di evitare la paralisi economica. La notte, l’inverno, e in tante altre occasioni in cui il sole e il vento non contribuiscono, il ricorso a energie fossili resta insostituibile. Per non parlare di tutti i loro derivati, come i fertilizzanti per l’agricoltura. Ma due fattori hanno depresso negli ultimi anni gli investimenti nelle infrastrutture energetiche tradizionali: la volatilità dei prezzi, e un ambientalismo trasformato in ideologia, o perfino in dogma religioso .

Oggi gran parte dell’industria energetica tradizionale non è in grado di aumentare la sua offerta in tempi rapidi, in conseguenza della penuria di investimenti negli anni passati. Joe Biden è costretto al triplo salto mortale con avvitamento. Andrà in Arabia saudita a dire il contrario di quel che diceva fino a ieri il suo inviato speciale per il clima John Kerry: il mondo ha bisogno che l’Opec pompi più petrolio e gas, non meno. Lo stesso Biden ha deciso di sospendere i dazi sui pannelli fotovoltaici importati dall’Asia . Pazienza se l’industria americana dei pannelli è stata devastata dalla concorrenza sleale dei cinesi, oggi la capacità produttiva è tutta a Oriente; gli americani che vogliono installare pannelli sul tetto di casa e le industrie che vogliono grandi centrali solari, o comprano asiatico o non trovano quasi niente.

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