Se la guerra dell’acqua arriva in Europa

2022-07-02 07:12:50 By : Mr. Nora Kim

Rapporti recenti dell’OCSE e dell’Ufficio per l’Europa dell’OMS stimano che il 35% dell’Unione europea sarà sottoposto a stress idrico elevato entro i prossimi 50 anni. La crisi climatica continuerà, infatti, ad aggravare le sfide legate alla difesa dei diritti umani all’acqua e ai servizi igienici in Europa. Attualmente, più di 16 milioni di persone nella regione non hanno ancora accesso all’acqua potabile di base e più di 31 milioni di persone non dispongono di servizi igienici di base.

Che la si chiami guerra dell’acqua o con l’appellativo patinato di water diplomacy, la sicurezza idrica è una delle variabili geopolitiche calde del XXI secolo. Secondo le Nazioni Unite, dal 1948 sono stati firmati quasi 300 trattati internazionali sull’acqua e la stragrande maggioranza raramente fa notizia. Ma se, ad oggi, abbiamo identificato questa problematica con bacini come quello del Nilo, i grandi distretti fluviali americani, la valle dell’Indo piuttosto che la Mesopotamia, la siccità persistente porta il tema della sicurezza idrica anche nel cuore dell’Europa.

Il cambiamento climatico ha provocato gravi conseguenze in tutta la regione, inclusa la peggiore siccità degli ultimi 250 anni, con conseguenti perdite annuali di 9 miliardi di euro nell’Unione Europea e nel Regno Unito. In vista della stagione estiva, i Paesi stanno già dichiarando diversi stati di emergenza. In Francia, 15 dipartimenti sono in allerta siccità e questo è l’anno idrologico più secco del decennio in Spagna. In Italia, la mancanza di precipitazioni nella Pianura Padana ha minacciato oltre la metà del patrimonio zootecnico del Paese e un terzo della produzione agricola.

I grandi corsi d’acqua europei, a causa del loro carattere transfrontaliero, hanno ingenerato le prime formule di diritto internazionale europeo, nonché le prime forme di cooperazione fra stati rivieraschi a valle e a monte. Il conflitto in Ucraina ha riportato in Europa lo spettro della guerra idrica, essendo fra le altre cose, anche una guerra dell’acqua, se si pensa al caso specifico dell’approvvigionamento idrico della Crimea. Emblematico il caso dei Balcani post conflitto: un vero patto di stabilità ha lavorato per costruire la pace negli anni ’90, prendendo le acque condivise del Danubio come punto di partenza per la cooperazione.

Proprio questo splendido bacino idrografico, celebrato dalla storia e dall’arte, è il grande attenzionato d’Europa. È il secondo fiume più lungo d’Europa con i suoi 2.857 km, subito dopo il Volga, nasce nella Foresta Nera in Germania e sfocia nel Mar Nero in Romania e Ucraina. Attraversa 10 paesi: Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Romania, Bulgaria, Moldova e Ucraina.

Il Danubio è un tesoro ambientale, ma è anche uno dei fiumi più modificati d’Europa. Canalizzazioni, protezioni contro le inondazioni e centrali idroelettriche hanno alterato gli equilibri naturali. È il caso del suo tratto tra Slovacchia e Austria. Nei pressi di Bratislava, ad esempio, si verifica un eccesso di sedimentazione: una grande diga qualche chilometro a monte blocca il flusso dei sedimenti. Ciò può aumentare il rischio di inondazioni, ostacolare la navigazione e influire sulla qualità dell’acqua e sull’ecologia. (Fonte: University of Natural Resources and Life Sciences). Si stima che solo sul Danubio sono state costruite più di 700 dighe, danneggiando il flusso di sedimenti del fiume e la fauna selvatica.

Negli ultimi anni, parti significative della regione del Danubio sono state colpite dalla siccità, con ripercussioni negative su vari settori economici dipendenti dall’acqua, sul benessere delle persone, sulla vegetazione e sull’ambiente acquatico. Nel 2017, una significativa siccità si è sviluppata in tutta la regione del Danubio ed è persistita nelle sue parti settentrionali per tutto il 2018 e il 2019. Emblematico il caso del 2018, quando il fiume raggiunse il livello di 0,61 m, poco al di sopra del minimo di 0,5 m raggiunto nel 2003. Il tutto ebbe conseguenze devastanti sulle rotte commerciali del grano (inquietante profezia), sul passaggio di chiatte e navi da crociera.

Anche il Reno se la passa molto male negli ultimi anni. L’aprile 2020, come ogni aprile, avrebbe dovuto essere uno dei mesi più piovosi dell’anno, ma due anni fa cadde solo il 5% della pioggia che normalmente cade in quel periodo (Dati del Deutscher Wetterdiens) a causa della combinazione tra mancanza di pioggia e scarsità di neve invernale.

L’altro fiume leggendario d’Europa, immerso nella sua aura medievale, è un’arteria fondamentale per il commercio attraverso il cuore industriale della Germania, con chiatte che trasportano carichi che vanno dal diesel all’acciaio, ai prodotti chimici. A fine marzo scorso il traffico fluviale ha iniziato a rallentare perché il livello dell’acqua è sceso a livelli insolitamente bassi per questo periodo dell’anno dopo un inverno mite e secco. Gli operatori di chiatte sul Reno temono che possa calare ulteriormente verso la fine di questa primavera e in estate, ripetendo potenzialmente la crisi del 2018, quando il fiume è diventato troppo basso per consentire a qualsiasi barca di navigare. Il tempismo non potrebbe essere peggiore, poiché la Germania ha bisogno del corso d’acqua nel suo sforzo per sostituire quanto più diesel e carbone russi possibile.

Il sistema di monitoraggio del Reno (RhineForecast) non fornisce notizie confortanti per questa fine di giugno: La statistica chiave da monitorare è il livello dell’acqua a Kaub, una pittoresca cittadina a sud di Colonia. Quando le cose vanno male a Kaub, vanno male per tutto il bacino.

Le sponde del Reno ospitano alcune delle più grandi aziende industriali tedesche, tra cui il più grande impianto chimico del mondo gestito da BASF SE a Ludwigshafen. Le sue sponde ospitano anche grandi stabilimenti gestiti da Daimler AG, Robert Bosch GmbH, Bayer AG e Thyssenkrupp AG. Le quasi 800 miglia del fiume collegano le industrie non solo della Germania, ma anche dei Paesi Bassi, della Francia e della Svizzera, prima di sfociare nel Mare del Nord a Rotterdam, il porto più grande d’Europa. Il fiume è il modo più economico per trasportare merci da Rotterdam alla Germania meridionale: se il traffico fluviale si interrompe, sostituire una tipica chiatta è un affare costoso, che richiede più di 100 camion per chiatta (Dati Bloomberg 2022).

Il prosciugamento del Po, che corre per 652 chilometri mette a rischio la sicurezza idrica nei distretti densamente popolati e altamente industrializzati d’Italia e minaccia l’irrigazione della food valley italiana. Anche nel caso italiano si sono combinate assenza di pioggia (più di 110 giorni) e nevicate diminuite del 70%. Falde acquifere esaurite, temperature di 2 gradi al di sopra della media stagionale fanno il resto. La siccità – la peggiore dal 1952 (secondo l’Autorità di Bacino del Po) – sta avendo effetti senza precedenti: l’acqua potabile è razionata in 125 comuni della regione e l’irrigazione delle colture minacciata.

La profondità del fiume attualmente misura fino a 2,7 metri sotto il livello zero, ben al di sotto della media di giugno, mentre la sua portata in mare è rallentata a 300 metri cubi al secondo, un quinto della media di questo periodo dell’anno. La pianura padana ha subito siccità nel 2007, 2012 e 2017 e gli scienziati affermano che la loro crescente prevalenza è un’ulteriore indicazione della crisi climatica.

Nove paesi europei possono essere considerati in condizioni di stress idrico: Cipro, Bulgaria, Belgio, Spagna, Malta, FYR Macedonia, Italia, Regno Unito e Germania.

Il riciclo e la desalinizzazione dell’acqua sono già metodi comuni nei climi secchi come il Medio Oriente, il Mediterraneo e l’Asia meridionale. Ma non in Nord Europa, dove i Paesi non si sono davvero dovuti preoccupare dell’approvvigionamento idrico fino ad ora.

Belgio e Paesi Bassi stanno esaminando progetti ad Anversa e L’Aia che creerebbero acqua potabile da fonti non convenzionali, almeno per gli standard locali. Un impianto nel porto di Anversa, la cui apertura è prevista per il 2024, tratterebbe l’acqua salata e, infine, le acque reflue, da utilizzare nei vicini siti industriali. Riducendo l’uso di acqua potabile da parte del porto di circa il 95%, si spera di alleviare la pressione sull’approvvigionamento idrico della regione dopo anni di condizioni simili alla siccità. All’Aia, il fornitore di acqua Dunea ha lanciato un progetto pilota per il trattamento dell’acqua salmastra pompata da sotto le dune di sabbia costiere. L’osmosi inversa, che utilizza membrane molto sottili e ad alta pressione per filtrare sale e altri minerali, potrebbe aiutare Dunea a produrre fino a 6 miliardi di litri (1,5 miliardi di galloni) di acqua potabile ogni anno.

Secondo l’OCSE, l’acqua per il consumo umano rappresenta meno del 12% del consumo totale di acqua in Europa: circa il 40% viene utilizzato per l’agricoltura e il restante per l’industria, compreso il turismo, l’industria mineraria e l’energia. Indipendentemente dall’utilizzo, dare un prezzo all’acqua sembrerebbe per fondamentale per garantire che tutti, ovunque, abbiano accesso a questa risorsa: stabilire il “prezzo giusto” per l’acqua incoraggia effettivamente l’efficienza e gli investimenti, secondo l’OCSE. Significa anche che i governi e i fornitori di servizi hanno le entrate necessarie per mantenere, espandere e aggiornare i servizi idrici e sanitari.

Tuttavia, dare un prezzo all’acqua rimane una sfida. Questo perché c’è conflitto tra ragioni economiche, obiettivi climatici (scoraggiare gli sprechi) e considerazioni di accessibilità. Ad esempio, paesi come Austria e Finlandia utilizzano un sistema tariffario combinato in due parti. Questo ha un elemento fisso che protegge il fornitore dalle fluttuazioni della domanda e riduce i rischi finanziari, e un elemento variabile che addebita al consumatore in base al livello di consumo, favorendo contemporaneamente il risparmio. Per garantire che le tariffe non blocchino le famiglie a basso reddito, la più grande azienda di approvvigionamento idrico del Portogallo ha istituito tariffe idriche per famiglie che garantiscono che i livelli di consumo aumentati da parte delle famiglie con più di cinque persone non vengano fatturati a livelli più elevati. Inoltre, l’utilità prevede una tariffa sociale per le famiglie a basso reddito, con sconti fino al 93%.

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