Buongiorno. Dice Giuseppe Conte che Mario Draghi ha chiesto a Beppe Grillo di rimuoverlo dalla guida del M5S, ma Mario Draghi dice di non aver mai chiesto a Beppe Grillo di rimuovere Giuseppe Conte e Beppe Grillo dice di essere stato strumentalizzato sulla «storiella» di Mario Draghi che gli avrebbe chiesto di rimuovere Giuseppe Conte. Sembra una commedia degli equivoci, e magari lo è. Ma fatto sta che Draghi ha dovuto lasciare in anticipo il vertice Nato di Madrid per tornare a Roma, Conte è salito ieri sera al Colle dal presidente Sergio Mattarella per chiarire la faccenda (parlando di «una situazione grave», anche se non di uscita dal governo) e Monica Guerzoni racconta di sfuriate al telefono dell’ex premier con il suo successore — accusato di intelligenza con il nemico Di Maio — e di un Conte che, nonostante le rassicurazioni di Draghi, lascia «aleggiare il rischio di una rottura insanabile ». Francesco Verderami ne conclude che «la strada di Draghi verso la fine della legislatura è lastricata di buone intenzioni e di bucce di banana ». Anche perché, non bastasse Conte, la presentazione in Parlamento, da parte di Pd e M5S, di disegni di legge per liberalizzare la cannabis e introdurre lo ius scholae (cittadinanza, per i minori stranieri residenti, dopo un ciclo di studi di 5 anni in Italia) fanno parlare il leader leghista Matteo Salvini, intervistato da Marco Cremonesi, di «un grave attacco al governo, che crea una spaccatura drammatica fra le forze che sostengono Draghi». Il consiglio dei ministri di oggi, ufficialmente convocato per parlare di misure contro il caro bollette , si annuncia, quindi, ad altissima tensione . Il vertice Nato Forse non è eccessivo parlare di svolta storica per la Nato e Giuseppe Sarcina spiega perché: Nel vertice di Madrid, l’Alleanza Atlantica ha preso la direzione che ucraini e polacchi, insieme con i baltici, chiedevano da almeno tre mesi. Ritorna la «Fortezza Europa». La politica, la diplomazia lasciano il passo alla logica della forza, delle armi. È un’operazione strutturale e quindi di portata storica. Solo due anni fa si discuteva di disimpegno americano dal Vecchio Continente, ora, con Joe Biden alla Casa Bianca, sentiamo il vento impetuoso d’oltreoceano. Il Pentagono sposterà soldati e armi pesanti verso i confini con la Russia e la Bielorussia. Le basi tedesche restano fondamentali, ma l’epicentro «operativo» diventa la Polonia . Quanto all’Italia, arriverà una nuova batteria per la difesa antiaerea a corto raggio. I 70 militari in più di cui ha parlato Draghi saranno probabilmente dislocati nella base militare di Aviano, come unità subordinata al battaglione per la difesa a corto raggio stanziato in Germania. Si partirà nel 2023, dopo che l’Italia avrà dato il via libera. Ma se l’avversario, nell’immediato, è la Russia di Vladimir Putin, l’Alleanza si prepara anche a fronteggiare la Cina, definita, per la prima volta, «sfida strategica». Ad avviso di Federico Rampini, «i vertici G7 e Nato, e le controreazioni da Oriente, cominciano a disegnare le nuove cortine di ferro del XXI secolo . L’Occidente sperimenta una strategia di contenimento dell’asse Russia-Cina». Inutile dire che Vladimir Putin non l’ha presa bene. «I leader dei Paesi Nato vogliono affermare la loro supremazia, le loro ambizioni imperiali . Se l’infrastruttura militare di quella organizzazione verrà dispiegata nei due nuovi Paesi (Svezia e Finlandia, ndr), la Federazione russa dovrà rispondere in maniera speculare», ha detto il presidente russo. La guerra in Ucraina Putin ieri ha anche detto che, per quanto riguarda l’«operazione militare speciale» (leggi invasione) in Ucraina, «l’obiettivo della Russia è liberare il Donbass ». Da Kiev, l’inviato Andrea Nicastro segnala, però, che la direttrice dell’intelligence americana, Avril Haines, non è d’accordo: «Dobbiamo aspettarci di tutto, da Mosca. Putin non ha rinunciato all’idea di conquistare tutta l’Ucraina». E aggiunge: «I russi impiegheranno anni a riprendersi. Potranno avanzare, ma in modo limitato e la frustrazione potrebbe indurli ad attacchi cibernetici , a controllare le reti dell’energia e persino all’uso dell’atomica . Da parte loro gli ucraini dovrebbero riuscire a stabilizzare il fronte e a riconquistare parte del Sud. La guerra si prospetta lunga». (Qui il punto militare di Andrea Marinelli e Guido Olimpio) Nicastro segnala anche che, nel più grande scambio di prigionieri dall’inizio dell’invasione, 144 soldati ucraini sono stati liberati da Mosca in cambio di altrettanti russi. Tra gli ucraini c’erano 95 «difensori di Mariupol» e, tra questi, 43 del reggimento Azov. «Il tabù è rotto. Anche se i 144 sono in gran parte gravemente feriti, l’idea di processarli non è un obiettivo irrinunciabile ». Il no francese sugli ex terroristi «No» della Francia all’estradizione in Italia di dieci ex terroristi: tra loro anche Giorgio Pietrostefani , condannato a 22 anni come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. La camera di istruzione della Corte di appello francese si è basata sulle nuove vite, lontane dalla lotta armata, intraprese dagli ex terroristi e sulla disciplina del giudizio in contumacia, in base agli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La ministra italiana della Giustizia, Marta Cartabia , dice di aspettare «di conoscere le motivazioni di una sentenza che nega indistintamente tutte le estradizioni. Una sentenza a lungo attesa dalle vittime e dall’intero Paese, che riguarda una pagina drammatica e tuttora dolorosa della nostra storia». (Ne abbiamo parlato anche nella nostra Rassegna) Mario Calabresi , figlio di Luigi ed ex direttore di Repubblica , ribadisce di pensare «che mettere oggi in carcere Pietrostefani, condannato per l’omicidio di mio padre, non abbia più molto senso. È passato mezzo secolo, è una persona anziana e malata». Ma, aggiunge, «oggi forse gli ex terroristi festeggeranno per averla scampata per sempre, ma insieme al sollievo, auguro loro di sentire un’emozione diversa: il bisogno di fare i conti con le loro responsabilità e, un istante dopo, il coraggio di fare un passo e contribuire alla verità su quei delitti ». Le condanne per il Bataclan Salah Abdeslam , 32 anni, unico terrorista sopravvissuto degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi che fecero 130 morti e 413 feriti (alla discoteca Bataclan perse la vita anche l’italiana Valeria Solesin) è stato condannato all’ergastolo. Il tribunale non ha creduto alla sua ultima versione, secondo la quale avrebbe rinunciato a farsi esplodere «per umanità» , perché aveva cambiato idea all’ultimo momento vedendo i ragazzi seduti ai tavolini all’aperto. Secondo le perizie, il giubbotto esplosivo era difettoso, non è entrato in funzione, e solo per questo lui lo aveva gettato in un cestino della spazzatura. Con Abdeslam sono stati condannati anche gli altri 19 imputati , con pene da uno a trent’anni di carcere . Altre notizie importanti • Analisti e i giuristi democratici sono convinti che la Commissione parlamentare sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 stia raccogliendo prove inconfutabili di comportamenti penalmente rilevanti di Donald Trump , nel suo tentativo di impedire la ratifica dell’elezione di Joe Biden. «Prove talmente evidenti — scrive Massimo Gaggi — che alla fine potrebbero obbligare un recalcitrante Merrick Garland, il ministro della Giustizia di Biden, ad incriminare l’ex presidente : un atto senza precedenti che renderebbe ancor più profonda la spaccatura nel Paese ma probabilmente metterebbe fine ai sogni di ritorno alla Casa Bianca di un Trump già incalzato da tempo da giovani leader repubblicani — primo fra tutti il governatore della Florida Ron DeSantis — pronti a “canonizzarlo” e a raccogliere la sua eredità politica». Nel podcast Corriere Daily di oggi (che potete ascoltare qui), Gaggi parla anche del ruolo di Cassidy Hutchinson , assistente dell’ex capo dello staff della Casa Bianca e ora grande accusatrice di Trump. • Il cosiddetto «cuneo salino », in pratica quanto l’acqua del mare è risalita nel delta del Po, è già a 30,6 chilometri ed è uno dei sintomi più evidenti del livello di sofferenza del Grande fiume che, a sua volta, è diventato il simbolo dell’emergenza siccità nel nostro Paese. Questi livelli d’ingresso di acqua salmastra erano già stati toccati in passato, anche due anni fa. «La differenza è che prima avveniva a fine estate, ora invece siamo solo all’inizio: quando la stagione irrigua è appena iniziata e andiamo incontro a mesi interi senza precipitazioni», dice sconsolato Meuccio Berselli, segretario dell’Autorità di bacino del Po. A rischio la fornitura di acqua potabile per 750 mila persone . • Lo stop alle auto a benzina e diesel è «una sfida enorme» e la vera svolta, spiega il ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani, intervistato da Fabio Savelli, «saranno i biocarburanti ». Si perderanno posti di lavoro per la transizione green «e se ne creeranno di nuovi». Quanto alle batterie e al litio «ora ci saranno sempre più richiesta e dipendenza» dalla Cina. • Tutti i 45 traguardi e obiettivi indicati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il primo semestre 2022 sono stati raggiunti. E il ministero dell’Economia ha inviato alla Commissione Ue la richiesta per il pagamento della seconda rata pari a 24,1 miliardi di euro, di cui 11,5 miliardi di contributi a fondo perduto e 12,6 di prestiti. L’importo effettivo è pari a 21 miliardi , al netto di una quota che la Commissione trattiene su ogni rata di rimborso. • Da oggi scatta l’obbligo di legge che prevede multe a commercianti e professionisti che rifiuteranno pagamenti con carte di credito, di debito o prepagate . Pena 30 euro di ammenda più il 4 per cento sulla transizione. L’impresa sportiva «Un pesce di nome Greg», titola il Corriere . E non è un’esagerazione, dopo la nuova medaglia d’oro conquistata, ai Mondiali di nuoto di Budapest, da Gregorio Paltrinieri , nella 10 chilometri in acque libere. Argento per il suo amico e compagno di allenamento Domenico Acerenza . Da leggere Su Corriere Salute di oggi si parla della “palestra emotiva” rappresentata dai viaggi : solo progettare uno spostamento o una vacanza stimola il cervello e dà ristoro anche al corpo. Gli anni della pandemia, però, ci hanno disabituato a uscire dalla comfort zone e hanno fatto aumentare l’ansia, così ora bisogna affrontare anche nuove paure legate alle partenze . Tra gli altri argomenti: le terapie personalizzate per chi soffre di depressione resistente ai farmaci, le strategie per ridurre il linfedema nei pazienti oncologici e i “trucchi” per rendere più sano l’appuntamento con l’aperitivo . Grazie per aver letto Prima Ora e buon giovedì Qui sotto trovate alcuni approfondimenti (Questa newsletter è stata chiusa alle 2.15. In sottofondo, Lenox Avenue Breakdown di Arthur Blythe ) Se via va, scriveteci gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs.it, atrocino@rcs.it
Il percorso del governo è delineato da qui alla fine della legislatura. Si conoscono anche i passaggi accidentati — come la Finanziaria — in vista dei quali Palazzo Chigi si sta già attrezzando per attraversare il guado senza danni. Ma sul sentiero della politica c’è sempre il rischio di scivolare sulla classica buccia di banana . Per evitare passi falsi all’esecutivo, verrebbe utile la collaborazione delle forze di maggioranza. Se non fosse che i partiti sono costantemente in trance agonistica pre elettorale . E nonostante sappiano di partecipare a un gabinetto di larghe intese, continuano a scontrarsi su provvedimenti sui quali è impossibile trovare intese bipartisan. E che sono destinati ad arenarsi senza diventare leggi. Eppure insistono, da destra come da sinistra, rendendo per Draghi più snervanti le mediazioni a Roma di quelle a Bruxelles. Ieri il premier era al vertice Nato. E mentre discuteva di strategie geopolitiche veniva informato dai suoi uffici di quanto accadeva in Parlamento, dove i partiti di maggioranza si dedicavano a piantare bandierine, incuranti di mettere a rischio gli equilibri di governo . (...) La strada di Draghi verso la fine della legislatura è lastricata di buone intenzioni e di bucce di banana . Ieri, dopo aver assicurato che «il governo non rischia», è stato costretto a lasciare Madrid per tornare a Roma e affrontare Conte sul «caso Grillo»: «Sarà un’altra giornata di fuoco ma senza arrosto», sostengono nel Pd, dove in pochi credono che il leader del M5S avrà la forza di rompere con l’esecutivo. Nello stesso Pd c’è però chi attende con ansia il 2023 per liberarsi del premier. «Mai più governi di larghe intese», ha detto il vice segretario Provenzano. Che tradotto dal politichese vuol dire: mai più Draghi a Palazzo Chigi . Quando Draghi si insediò, Renzi disse che sarebbe stato «la safety car» dietro cui i partiti avrebbero potuto «riallinearsi e rilanciarsi». E invece, dopo sedici mesi, i partiti non sono riusciti a realizzare la benché minima riforma del sistema politico, che pure era di loro competenza. Da allora solo bandierine. (Qui l’articolo completo)
Segretario, lei ha convocato i deputati perché la Lega «non sembra più disposta a collaborare con Pd e 5Stelle». Che cosa succede? «Succede che da papà, non da capo della Lega, trovo intollerabile un’accelerazione del Parlamento per liberalizzare la droga. Sono stato a San Patrignano, alla Comunità Incontro di Amelia, alla Comunità Nuovi orizzonti e a Rogoredo, dove le droghe uccidono, annientano, distruggono. Dopo due anni di chiusure e di Dad, fra i ragazzi è drammaticamente aumentato l’uso di stupefacenti». Il vostro capogruppo alla Camera Riccardo Molinari ha detto che «così non si va avanti». «Questa iniziativa di Pd e 5 Stelle, unita alla cittadinanza facile per gli immigrati, è un grave attacco al governo e crea una spaccatura drammatica fra le forze che sostengono Draghi. Mentre alla Camera la sinistra ha deciso di imboccare questa strada pericolosissima, in commissione al Senato noi abbiamo approvato l’equo compenso atteso dagli ordini professionali. C’è una bella differenza, non le pare?». Lei ha parlato di «giornata spartiacque». Sta pensando davvero di ritirare il sostegno al governo Draghi? «È l’ultima cosa che vorremmo, per questo osserviamo con preoccupazione le continue provocazioni di Pd e 5 Stelle. Invece di lavorare in Parlamento sull’aumento di stipendi di pensioni, legalizzano droghe e regalano cittadinanze facili. Aggiungo che la profonda crisi dei grillini ha coinvolto anche il premier e rischia di aumentare le fibrillazioni. Questo governo non è nato per spalancare le porte ai 27 mila clandestini sbarcati fino a ora. Attendiamo da tempo il patto fiscale per 20 milioni di italiani ostaggio di Equitalia e a gennaio non potremmo tollerare il ritorno alla legge Fornero». Guerra, Covid che perdura, siccità… È possibile far cadere un governo di emergenza nazionale per la canapa e per la cittadinanza di chi è andato a scuola in Italia? «Legalizzare le droghe sarebbe una follia: non riduce la criminalità, anzi rafforza le organizzazioni criminali che potranno agire alla luce del sole, ha effetti pesanti sulla salute dei giovani favorendo l’ingresso dei ragazzi nel mondo della droga, sono inoltre note le conseguenze negative sulla salute di un uso abituale: riduzione del quoziente intellettivo, deficit di attenzione, ridotta capacità di reazione, psicosi. La droga è morte, non esistono droghe buone, adesso dovremmo addirittura permettere la coltivazione della droga a casa e diminuire le pene?». E lo ius scholae? Può essere motivo di crisi di governo? «I dati Istat dimostrano una devianza molto elevata fra i giovani immigrati, notevolmente superiore rispetto ai coetanei italiani come dimostrano i recenti fatti di cronaca, per esempio a Desenzano. Le percentuali di devianza e le differenze rispetto agli italiani si riducono invece notevolmente dopo i 45 anni. Ciò significa che è necessario un vero percorso di integrazione. La cittadinanza va meritata non regalata. In caso contrario si rischia di aumentare la disgregazione sociale». (L’intervista completa sul Corriere di oggi e su Corriere.it)
Le amministrative non possono dirci cosa accadrà quando si terranno le elezioni politiche. Se non altro perché l’astensione, presumibilmente, sarà più bassa e le situazioni locali non peseranno sugli orientamenti di voto. Come i sondaggi, esse confermano solo che i principali sfidanti saranno Fratelli d’Italia e il Partito democratico. La frammentazione partitica resterà forte, la somma dei voti dei due partiti maggiori, plausibilmente, non raggiungerà la metà dei voti validi. Ma essi saranno, l’uno per l’altro, l’avversario da battere. Ciascuno dei due partiti ha oggi, accanto a elementi di forza, anche qualche seria debolezza. Mentre la sua posizione sull’Europa è il tallone d’Achille di FdI, il cosiddetto «campo largo» è quello del Pd . A differenza dei suoi (confusi) partner del centrodestra, Giorgia Meloni ha conferito al suo partito caratura e piglio di forza di governo con la decisa scelta atlantista in difesa dell’Ucraina. Adesso FdI (al pari del Pd) è un partito che ha acquistato un forte credito presso i nostri alleati occidentali. Chi pensa che in politica queste cose contino poco è afflitto da provincialismo . A dispetto delle apparenze, e di ciò che è accaduto in queste amministrative, è possibile che FdI riesca anche a presentarsi alle elezioni con uno schieramento di destra relativamente coeso. A causa del fatto che la stella politica di Salvini sembra al tramonto. Con Forza Italia e con una Lega in cui tornino a contare i presidenti di Regione e gli amministratori locali, forse non sarà difficile per FdI trovare intese su questioni strategiche come, per esempio, tasse o politica dell’immigrazione. L’Unione europea, invece, è una specie di macigno sulla strada che conduce a Palazzo Chigi . La difesa della «sovranità nazionale» e la conseguente postura polemica nei confronti dell’«Europa che c’è» sono per FdI elementi identitari. Un po’ come lo ius soli o il sostegno al movimento Lgbt per il Pd. Ma la differenza è che mentre ius soli e battaglie Lgbt, quali che possano esserne gli effetti di lungo termine sulla società, non incidono sul gioco degli interessi qui ed ora, non hanno un rapporto immediato con il tenore di vita degli italiani o con l’andamento della vita economica, le posizioni che si assumono sull’Europa hanno, eccome, un rapporto diretto e immediato con tutto ciò . (...) Il Pd ha il vantaggio di essere da tanti anni (salvo il breve periodo giallo-verde) forza di governo. Nella prossima campagna elettorale dovrà guardarsi dall’accusa, che certamente il centro-destra gli scaglierà contro, di volere la patrimoniale . In un Paese di ceto medio diffuso e di proprietari di case, se il sospetto si diffonderà per il Pd la sconfitta sarà pressoché sicura. Ma il suo vero punto debole è la politica delle alleanze . Qui gioca un vecchio riflesso, una tradizione che risale ai tempi del Partito comunista. I comunisti, durante le campagne elettorali, non presentavano programmi. Era l’ideologia il programma. Essi si limitavano a chiamare a raccolta gli elettori «contro il potere democristiano». La conventio ad excludendum , la convenzione che escludeva la possibilità che il Pci andasse al governo, lo esimeva dal presentare proposte concrete. Era sufficiente fare promesse di «grandi trasformazioni» che, comunque, il Pci non sarebbe mai stato chiamato a mantenere. Echi del passato ritornano quando esponenti del Pd ci spiegano che un’alleanza con i 5Stelle (magari imbarcando anche Renzi e Calenda) è oggi necessaria «per battere le destre». Ma batterle per fare cosa? Un’alleanza fra forze così eterogenee, una alleanza solo «contro», costruita all’unico scopo di «battere le destre», nelle nuove condizioni, ha ottime probabilità di contribuire a farle vincere . (Qui l’editoriale completo)
Il G7 che si è tenuto in Germania ha deciso di mobilitare, nei prossimi cinque anni, 600 miliardi di dollari, pubblici e privati, per finanziare progetti infrastrutturali in Paesi in via di sviluppo . Joe Biden ha sostenuto che 200 miliardi verranno dagli Stati Uniti, Ursula von der Leyen ha anticipato che 300 verranno dall’Unione europea. Giappone, Regno Unito e Canada dovrebbero coprire il resto. L’obiettivo è dichiarato: contrastare la Belt and Road Initiative cinese, la Nuova Via della Seta che Pechino ha lanciato nel 2013, un piano di interventi in un centinaio di Paesi che ha totalizzato circa 900 miliardi di dollari di investimenti in nove anni. Il presidente Biden ha voluto chiarire: «Questi non sono aiuti o beneficienza: è un investimento che porterà guadagni per tutti» e che permetterà di «vedere i benefici concreti di essere partner delle democrazie». Alcuni media cinesi hanno ironizzato: siamo contenti — hanno scritto — di vedere gli occidentali che si mettono sempre sulle orme della leadership della Cina, anche se lo fanno con fini di divisione su linee geopolitiche. In effetti, finora il G7 aveva sottovalutato la necessità di sostenere gli investimenti nei Paesi più poveri dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, lasciando spazio alla penetrazione piuttosto oscura di Cina e Russia. La sfida lanciata domenica, però, ha un contenuto qualitativo, più ancora che quantitativo. I fondi dei Paesi del G7 — e di altri che vorranno aggiungersi — saranno investiti su basi paritarie con i Paesi che li ricevono e saranno regolati su standard internazionali trasparenti . Quelli della Nuova Via della Seta in genere non lo sono e, per chi accede ai prestiti cinesi, i rischi di finire nella trappola del debito sono alti. Uno studio pubblicato lo scorso settembre da AidData, un centro di ricerca collegato al College of William & Mary della Virginia, ha calcolato che il «debito nascosto» accumulato da Paesi a basso e medio reddito a causa dei prestiti da entità cinesi fosse di 385 miliardi di dollari . Si tratta di denari prestati a diverse entità dei Paesi che li ricevono, spesso dietro garanzie collaterali: se non rispetti le scadenze, Pechino sequestra beni liquidi o materiali . Più di 40 di questi Paesi hanno un’esposizione debitoria alla Cina superiore al 10% del loro Pil. I membri del G7 hanno ragioni forti per offrire alternative alla «generosità» di Pechino.
Nerone è stato notoriamente accusato di girarsi i pollici mentre Roma era in fiamme. Oggi, alcuni leader stanno facendo di peggio. Stanno gettando benzina sul fuoco. Letteralmente. Mentre le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina si ripercuotono su tutto il mondo, la risposta di alcune nazioni alla crescente crisi energetica è stata quella di raddoppiare l’uso di carburanti fossili , riversando altri miliardi di dollari proprio nel carbone, nel petrolio e nel gas, che sono la causa della nostra crescente emergenza climatica. Nel frattempo, tutti gli indicatori climatici continuano a superare ogni soglia, preannunciando un futuro di tempeste violente, alluvioni, siccità, incendi e temperature invivibili in ampie zone del pianeta . Il nostro mondo è di fronte a un caos climatico . Stanziare nuovi fondi per la ricerca di carburanti fossili e per le relative infrastrutture produttive è follia. I carburanti fossili non sono la risposta e mai lo saranno. Possiamo vedere il danno che stiamo facendo al pianeta e alla nostra società. È sui notiziari ogni giorno e nessuno ne è immune. I carburanti fossili sono la causa della crisi climatica. L’energia rinnovabile è la soluzione , per limitare gli sconvolgimenti climatici e aumentare la sicurezza energetica. Avessimo investito nell’energia rinnovabile prima e in misura maggiore, non ci saremmo ritrovati nuovamente alla mercé degli instabili mercati del carburante fossile. Le energie rinnovabili rappresentano il piano di pace del XXI secolo . Ma la battaglia per una transizione energetica rapida e corretta non viene combattuta in condizioni eque. Gli investitori continuano a puntare sui carburanti fossili e i governi dispensano ancora miliardi in sussidi per carbone, petrolio e gas, al ritmo di undici milioni di dollari circa al minuto. C’è un termine per indicare il prediligere il sollievo a breve termine rispetto al benessere a lungo termine. Dipendenza. Dipendiamo ancora dai carburanti fossili. Per il bene della nostra società e del nostro pianeta, dobbiamo smettere. Ora . L’unica strada possibile verso sicurezza energetica, prezzi energetici stabili, prosperità e un pianeta vivibile è abbandonare i carburanti fossili inquinanti e accelerare la transizione energetica basata su fonti rinnovabili. (Qui il seguito dell’intervento)
Ministro Roberto Cingolani ieri l’intesa sullo stop alle auto a benzina e diesel nel 2035: saremo pronti? «È una sfida enorme. Le batterie sono l’epicentro del cambiamento. Le materie prime necessarie, il litio e altre terre rare, sono in larghissima parte presenti in Cina, per cui anche se l’Europa si impegna a costruire batterie, la sua dipendenza dalle materie prime cinesi sarà molto superiore a quella che adesso abbiamo dal gas e dal petrolio russo. Le batterie poi vanno caricate con energia elettrica rinnovabile altrimenti si perde l’effetto ambientale». E Anfia parla di 70mila posti a rischio. «Come in ogni transizione si perderanno posti di lavoro ma se ne creeranno di nuovi con prodotti e servizi che al momento nemmeno immaginiamo. Nell’immediato dobbiamo essere molto attenti. Non solo le produzioni si restringono per il minor numero di componenti, ma il costo superiore dell’auto elettrica rispetto all’equivalente a benzina rischia di ridurre la domanda. Nei Paesi ricchi il Pil procapite medio di un anno è sufficiente a comprare senza problemi un’auto elettrica di ultima generazione. Ma in molti altri Paesi europei servono l’equivalente di 4 o 5 anni di Pil procapite medio. Certamente cambieranno la mobilità e scenderanno i prezzi, questo è sicuro, ma la differenza economica fra i Paesi rimarrà». I biocarburanti sintetici riducono le emissioni? «I nuovi sintetici consentono di abbattere la produzione di Co2 a parità di motore. Mezzi pesanti che non potranno facilmente essere elettrificati o chi non potrà permettersi di acquistare l’auto elettrica nel 2035 potrà utilizzare queste tecnologie». L’impronta di carbonio dell’elettrico è ancora alta. «È vero: l’auto elettrica non è ad emissioni zero. È ottima quando esce dal concessionario, ma la Co2 prodotta per l’estrazione delle terre rare e la costruzione delle batterie è moltissima. Quindi se si fa una valutazione delle emissioni emessa dall’auto elettrica partendo da momento in cui si comincia ad estrarre il litio delle sue batterie e non da quando la si acquista si scopre che prima di diventare vantaggiosa rispetto alle emissioni di un modello equivalente a combustione interna occorre percorrere diverse decine di migliaia di chilometri. Attenzione, però, l’auto elettrica resta la soluzione migliore per le decarbonizzazione della mobilità e dei trasporti». La Cina però sta stoccando i metalli principali: l’Europa non dovrebbe fare acquisti centralizzati? «Chi possiede le materie prime determina il mercato. E questo punto è di debolezza. Le batterie accumulano circa 300 wattora per 1 kg di peso. Se ne dovranno produrre decine di migliaia di tonnellate per elettrificare le auto d’Europa, e i materiali per costruirle li dovremo importare. Serviranno ricerca e nuove soluzioni». (L’intervista completa sul Corriere di oggi e su Corriere.it)
Caro direttore, mi permetta di avanzare alcune considerazioni sulla riforma del sistema di assunzione e formazione degli insegnanti , di cui il suo giornale si è occupato. La parola chiave del provvedimento, approvato ieri in via definitiva dal Parlamento e contenuto nel decreto legge 36, è «formazione». Formazione iniziale, formazione lungo tutta la vita professionale del docente e formazione per quelle attività e funzioni che sempre più caratterizzano l’autonomia delle nostre scuole . La formazione iniziale. Finalmente definiamo un percorso chiaro e di qualità per diventare docenti nella scuola secondaria . Una risposta ai tanti giovani che vogliono insegnare e chiedono regole certe. Prevediamo un percorso universitario di 60 crediti, aggiuntivi rispetto alla laurea magistrale, che comprende un periodo di tirocinio a scuola, seguito da una prova di abilitazione all’insegnamento. Questa permette di accedere al concorso per entrare nella scuola pubblica oppure di insegnare in una scuola paritaria. Nella legge c’è poi la formazione per tutti, che resta obbligatoria come già previsto dal 2015. Sarà concentrata sulle competenze digitali , stabilendo così anche un’importante connessione con gli investimenti del Pnrr Istruzione: 800 milioni per formare sul digitale 650 mila docenti e 2,1 miliardi per trasformare 100mila aule in ambienti di apprendimento innovativi e dotare le nostre scuole di laboratori tecnologici. La riforma introduce poi un’importante novità: percorsi di formazione e valutazione incentivata, di durata triennale , previsti non soltanto per potenziare le conoscenze di base e pedagogiche , ma anche per lo sviluppo di quelle professionalità e competenze sempre più necessarie per garantire una piena autonomia dei nostri istituti , progettare attività didattiche che superino le divisioni disciplinari, svolgere funzioni di tutor per i colleghi più giovani, costruire un rapporto con il territorio e con la comunità. Questi percorsi prevedono un incentivo, che richiederà una valutazione da parte dei comitati già presenti nella scuola, che potrà essere fino al 20% dello stipendio e costituisce pertanto una valorizzazione del merito. Con la riforma definiamo un chiaro percorso di sviluppo professionale, con valutazione e incentivazione, che sostiene la scuola nel suo ruolo di centro e «battito» della comunità. Questa azione così complessa, ma coerente e innovativa, si colloca nel quadro delle riforme del Pnrr, che comprende tra l’altro la trasformazione delle scuole tecniche e professionali, degli ITS, dell’orientamento, del dimensionamento e dell’organizzazione delle scuole sul territorio, così come un volume di investimenti senza precedenti, più di 17 miliardi, in infrastrutture e azioni contro la dispersione scolastica e la povertà educativa, a sostegno del tempo pieno e dello studio delle materie Stem. Con le risorse e gli strumenti del Pnrr stiamo costruendo la scuola nuova di cui il Paese ha bisogno . Ben venga un dibattito sul futuro dell’Istruzione — è essenziale — ma si parta dalle innovazioni introdotte da questo provvedimento e dalle tante esperienze positive che costituiscono il cuore vero delle nostre scuole e hanno aperto la via alle riforme che stiamo realizzando.
La sentenza che cancella il diritto a interrompere la gravidanza negli Stati Uniti ci ha ricordato (anche) quanto siano delicati alcuni dei dati che affidiamo agli smartphone . Ora, in 26 Stati Usa i dati delle app per il monitoraggio del ciclo mestruale o altre informazioni in possesso delle piattaforme (localizzazione, ricerche, ecc) potranno diventare armi contro le donne che li hanno caricati più o meno consapevolmente. Come hanno scritto alla Ftc quattro membri democratici del Congresso, «chi vuole abortire o ricorrere ad altri tipi di assistenza sanitaria riproduttiva diventerà vulnerabile ai pericoli legati alla privacy» e, oltre «ai procuratori che potranno ottenere mandati» per chiedere i dati alle aziende, ci saranno «gli attori privati che saranno incentivati a dare la caccia alle donne che vogliono abortire rivolgendosi a venditori di dati non del tutto trasparenti». Dall’Europa uno degli imperativi in queste ore di sgomento è capire come circolino i dati e come sia regolata la vendita a terzi (le richieste della magistratura sono un altro discorso): da un lato abbiamo quella che le due a.d. di Clue, app usata da 12 milioni di persone, hanno brandito come rassicurazione e definito «la legge più severa del mondo: il Gdpr europeo». Dall’altro, in un saggio le ricercatrici Maryam Mehrnezhad e Teresa Almeida hanno sottolineato come lo stesso regolamento non menzioni direttamente i dati sulla fertilità , che si presume siano equiparabili a quelli sulla salute, e come questa «ambiguità» possa causare seri rischi. Dall’Italia, dove la fertilità delle donne è oggetto di proposte di legge per rendere la gestazione per altri reato universale o dove leggi in vigore costringono le coppie di donne o le donne single ad andare all’estero per accedere ai trattamenti di procreazione assistita, è quantomai importante farsi trovare consapevoli e informati .
«Se Putin fosse stato una donna, non avrebbe mai invaso l’Ucraina, la sua folle guerra è un perfetto esempio di mascolinità tossica ». Prendiamo per buona l’osservazione di un femminista insospettabile come il premier inglese Boris Johnson . Ma allora sarebbe riduttivo circoscriverla al micio-macho Vladimir e alla sua corte di bulli al testosterone. Per esempio, se anche Joe Biden fosse stato una donna, non avrebbe dato del macellaio al presidente russo: non in pubblico, almeno, e comunque non prima di avergli rivolto un finto complimento. Lo stesso Johnson, se fosse stato una donna, avrebbe evitato svariate figuracce, tipo organizzare feste private durante il lockdown imposto da lui, ma soprattutto avrebbe evitato di farsi beccare. Se Scholz fosse stato una donna, sarebbe stato la Merkel . Se Berlusconi fosse stato una donna, non saprei. Ma se Putin fosse stato una donna, di sicuro Berlusconi ci avrebbe provato. E se fosse stato il Salvini, una donna? La Meloni sarebbe diventata un uomo, soltanto per fargli dispetto. Quanto a Grillo, se fosse stato una donna, mai avrebbe trascurato per anni la sua creatura a cinque stelle, salvo tornare a occuparsene, e in maniera sgangherata, quando ormai era andata in malora. Per completare il giochino di Boris, resta il presidente della Banca centrale europea . Se fosse stato una donna, avrebbe gestito le crisi di questi anni con un po’ più di tatto, empatia e risolutezza. Ops, mi dicono che è una donna.
Il Punto torna alle 13 com America-Cina e, dopo le 20, con la Rassegna. A domani con Prima ora